Inizio l’anno lavorativo condividendo questa lettura, un altro libro rosso, dopo Il fiume della vita di Borgna e L’arte di amare di Fromm.
Perché proprio questa lettura? Perché in questo momento di grandi incertezze e di grandi sfide, penso convenga a tutti noi ripartire dal desiderio, inteso come “capacità di lavoro, di impresa, di progetto, di slancio, di creatività, di invenzione, di amore, di scambio, di apertura, di generazione.”
Massimo Recalcati indaga il desiderio e i suoi enigmi e – come in una galleria di quadri – raffigura 10 diverse forme che il desiderio umano può prendere, assegnando a ciascuna forma un volto, un ritratto:
E dopo la lista di questi ritratti, sono consapevole di non avervi detto nulla del contenuto del libro, ma spero di aver fatto sorgere in voi la curiosità di leggerlo …
Come di consueto, ecco la Posta per me.
La trasmissione del desiderio, infatti, non può che avvenire attraverso un incontro, dunque attraverso un evento che ha il carattere della sorpresa, dell’inatteso, del fuori programma. (..) Il mio incontro con Lacan è stato innanzitutto l’incontro con il mio stesso desiderio. (..) Sperimentai allora il significato più profondo del transfert (..) incontro inedito con ciò che causa il desiderio, “innamoramento primario”, risveglio, movimento, spinta, spostamento, trasferimento, trasporto, trasporto amoroso verso l’Altro che rivitalizza la vita.
L’esperienza del desiderio è l’esperienza di una forza in eccesso, di una forza che proviene da me, ma che trascende l’Io. (…) in quanto forza che mi supera non è qualcosa che io posso governare, non è a disposizione del mio Io, ma è piuttosto l’esperienza di uno scivolamento, di un inciampo, di uno sbandamento, di una perdita di padronanza. (..)
Una nuova malattia si è diffusa, sotto mentite spoglie, in Occidente. Ho chiamato questa nuova malattia estinzione, eclissi, spegnimento, tramonto del desiderio. L’Occidente capitalista, che ha liberato l’uomo dalle catene della miseria trasformandolo in un homo felix, ha prodotto una nuova forma di schiavitù: l’uomo senza desideri.
E’ il paradosso dell’iperedonismo del nostro tempo: la pulsione appare dotata di una potenzialità infinita, si afferma come finalmente libera, svincolata dai limiti della Legge, ma questa libertà non è in grado di generare alcuna soddisfazione. E’ una libertà vuota, triste, infelice, apaticamente frivola.
Dove c’è desiderio c’è sempre indebolimento della credenza nei confronti di quell’Io che “io” credo di essere. (..) E’ questa la vera malattia mentale che affligge l’umano. La vera malattia mentale, il “sintomo umano per eccellenza”, è credersi un Io, è la fede cieca – l’attaccamento – nei confronti di quell’Io che crediamo di essere. Il (vero) desiderio non rafforza la credenza nell’Io ma la sfilaccia, la spiazza, la ridimensiona.
La serietà del padre è il simbolo della Legge e, insieme, di una tenerezza profonda. Un padre è colui che preserva la distanza necessaria dallo specchio rompendo quella reciprocità immaginaria che inghiotte la vita in un legame solo narcisistico con l’altro.
Desiderare significa volersi sentire desiderati, voler essere riconosciuti dall’Altro, significa voler avere un valore per l’Altro. (..) Il desiderio come desiderio dell’Altro mostra che il desiderio umano ha una struttura relazionale. Esso proviene dall’Altro e si dirige verso l’Altro.
Il desiderio avanza una domanda radicale sul desiderio dell’Altro: Puoi vivere senza di me? Puoi vivere senza avvertire la mia mancanza? Puoi esistere senza la mia esistenza?
Da una parte la vita umana non può prescindere dall’esigenza simbolica di sentirsi riconosciuta dal desiderio dell’Altro, tuttavia, quando il desiderio di riconoscimento assorbe integralmente la vita del soggetto, quando confina con la necessità di farsi sempre amabile agli occhi dell’Altro, quando è solo il desiderio dell’Altro che mi fa essere ….siamo di fronte ad una patologia nevrotica.
Il desiderio diventa apertura verso l’Altrove, trascendenza, invocazione di un’altra possibilità rispetto a quella offerta dalla semplice presenza dell’esistente. (..) Il desiderio non si appoggia sull’esistenza dell’Oggetto, ma su una decisione soggettiva. Cosa ne farò del mio desiderio? Come potrò renderlo fecondo e non dissipativo?
Il Don Giovanni si presta ad incarnare questa fuga perpetua e inquieta del desiderio: nessuna è mai abbastanza. (..) Il desiderio come desiderio d’Altro è desiderio non di “questo”, di ciò che ho, di ciò che è presente, ma sempre di altra cosa, di una cosa che non può mai essere presente.