Il fiume della vita è l’autobiografia di Eugenio Borgna, di cui avevo già letto il bellissimo libro “Le parole che ci salvano”.
Un altro libro rosso, ma in questo libro non rimbalzano le parole felicità o amore, qui le parole più frequenti sono altre. E per questo sono contenta di averlo letto, mi ha permesso di rimettere in un quadro più lucido diversi aspetti della vita. Nella sua autobiografia Borgna guarda “alla storia interiore della sua vita: alle inquietudini e alle insicurezze, alle ansie e alle delusioni, alle tristezze e alle nostalgie, alle attese e alle speranze, alle scelte e alle decisioni che ne hanno fatto parte”.
Sono molti i passaggi che mi hanno colpito:
- il racconto della sua infanzia durante la guerra, con lo sfollamento vicino al lago d’Orta
- la descrizione del suo concetto di psichiatria umana e gentile,
- la musica, “che lo allontana immediatamente dalle banalità e dalle convezioni di ogni giorno e lo accompagna nel cammino che porta all’interiorità”
- il mare della sua adolescenza, con il suo silenzio e la solitudine, dove “il tempo scorreva lentissimo, consentendomi di riflettere sul senso del vivere”
- il ricordo delle suore del manicomio di Novara, che “non avevano letto libri di psichiatria, ma erano dotate dell’intuizione, della grazia dell’intuizione, questa fragile antenna, che ci avvicina al mistero del dolore e dell’angoscia mortale, facendoci conoscere parole e gesti capaci di dare un qualche conforto alla solitudine e alla disperazione delle pazienti”
- lo scambio continuo fra le emozioni sue e quelle delle sue pazienti: “Non dovremmo mai dimenticare, in ogni caso, che senza analizzare cosa accade in noi, nella nostra vita emozionale, nulla sapremo cogliere delle emozioni dei pazienti. (…) Insomma le nostre esperienze interiori, la paura e l’angoscia in particolare, ma anche la distrazione e la rassegnazione, la tristezza e la letizia, la sincerità e le preoccupazioni, ci fanno cambiare il modo in cui ci incontriamo con gli altri, e contestualmente il modo in cui gli altri si incontrano con noi”
- l’uomo come colloquio (Holderlin),
- la malinconia come condizione che non ha nulla di patologico anzi è fonte di conoscenza di sé,
- la sua solitudine come medico
- il silenzio dei suoi pazienti “Ogni silenzio ha un suo linguaggio, che dovremmo sapere analizzare e decifrare nei suoi significati: senza infrangerlo”
- le riflessioni sulla paura, che fa rinchiudere in sè
- la differenza fra memoria calcolante e memoria vissuta o emozionale
- la morte che fa parte della vita “La vita è intessuta di morte e mi meraviglia che si pretenda di ignorarlo (…) Bisogna imparare a morire: ecco in cosa consiste tutto il vivere” (Rainer Maria Rilke)
- il suicidio di Anna Karenina
Vi cito per concludere un pezzo del libro di Borgna, tratto dal Diario di Etty Hillesum, molto illuminante per me per il momento che stiamo vivendo:
“In fondo, il nostro unico dovere morale è quello di dissodare in noi vaste aree di tranquillità, di sempre maggiore tranquillità, fintanto che si sia in grado di irraggiarla anche sugli altri. E più pace c’è nelle persone, più pace ci sarà in questo mondo agitato”.