Sylvia Plath cominciò a tenere un diario quando era bambina e lo tenne senza interruzione sino alla morte (..) il diario aveva il ruolo che di solito hanno questi documenti: tracciare la rotta dell’esistenza, stimolare la memoria, testimoniare una vita interiore (..) ma era anche molto di più (..) una sorta di deposito dell’immaginazione da cui estrarre il pressante materiale inconscio che vedeva per la prima volta la luce in queste pagine.
(dalla nota di apertura della curatrice del libro)
Anche io tengo un diario, lo ritengo uno strumento molto potente di crescita personale, per dialogare con me stessa in tutta sincerità e conoscermi meglio, per vivere e fare scelte allineate a miei valori di fondo (ho scoperto che Luca Mazzucchelli nel suo libro Fattore 1% inserisce la scrittura di un diario fra le 5 abitudini game changer, quelle routine che se acquisite possono generare una catena virtuosa di cambiamenti positivi nella vita delle persone).
Forse per questo sono appassionata di questo genere di letture…dopo i Diari di Etty Hillesum (….) mi sono imbattuta “quasi per caso” nei Diari di Sylvia Plath.
Quasi per caso…in realtà avevo conosciuto Sylvia Plath attraverso il libro di Alessandro D’Avenia, “Ogni storia è una storia d’amore”: fra le 36 storie raccontate nel libro, la storia tormentata di Sylvia Plath e del marito Ted Hughes, il Poeta laureato, mi era rimasta impressa come esempio molto forte di disamore, di amore che non riesce a tenere la giusta distanza e che distrugge e si auto-distrugge. Sylvia si è suicidata all’età di 31 anni, soffriva di depressione clinica o di una malattia borderline.
Aveva una brama di attingere a una comunione con lo spirito, con la realtà o semplicemente con l’intensità di sé e nei suoi diari racconta della sua trasformazione progressiva (paragonata ad un processo alchemico, lento e doloroso a tratti) per riuscire ad esprimere il suo vero io.
Il vero io, si sa, è una cosa rara. E che il vero io si esprima è ancora più raro. Dove esiste, di regola il vero io di una persona si rivela soltanto nella qualità della presenza di quella persona, oppure nelle sue azioni. (..) ma generalmente è muto, sepolto sotto il brusio delle voci conflittuali delle nostre molte personalità false, insignificanti. Quando il vero io trova la parola e riesce ad esprimersi, allora accade qualcosa di straordinario.
(Scrive di lei il marito nelle pagine di introduzione ai diari)
Nella molteplicità degli spunti e veri propri insight che questo libro mi ha dato, provo a mettere in fila la posta per me:
Devo affondare le radici nella vita in sé (…) Ho conosciuto l’amore, il dolore, la pazzia, e se non riesco a dare un senso a queste esperienze nessuna nuova esperienza mi può aiutare.
Questo dà un nome, un senso alla mia esistenza “rendere l’attimo eterno”.
Tanto per cominciare, essere se stessi è un accidenti di responsabilità. E’ più facile essere qualcun altro o nessuno.
La scrittura è un rito religioso: è un ordine, una riforma, una rieducazione al riamore per gli altri e per il mondo per come sono e come potrebbero essere. Una creazione che non svanisce (..)
Comunque, se non scrivo, e non lo faccio da sei mesi, la mia immaginazione si immobilizza, si blocca, mi soffoca al punto che qualsiasi lettura mi deride (è opera di un altro, non mia), che cucinare o mangiare mi dà la nausea (attività puramente fisiche, senza cervello) e la sola cosa che mi dà forza, anche se non me la godo del tutto, è l’amore infinito che mi circonda …
Ho un buon io che ama i cieli, le colline, le idee, i piatti appetitosi, i colori brillanti. Il mio demone vorrebbe ucciderlo imponendogli di diventare perfetto.
Me ne sto seduta come in trance – lacerata, divisa: tutta una settimana e io lontanissima dal mio io profondo, dal demone interiore, stordita, su una superficie pitturata.
Ho l’impressione di possedere per miracolo l’impossibile, l’incredibile – Ted ed io insieme siamo perfetti.
Sto bene con mio marito: mi piacciono il suo calore, la sua mole, il suo esserci, il suo fare, le sue battute e le sue storie (…) e come si angustia quando sono triste e farebbe qualunque cosa per aiutarmi a risolvere i miei conflitti interiori perché io cresca con coraggio.
In parte, credo, corro il rischio di dipendere troppo da Ted. (…) E’ come se fossi risucchiata da un vortice, affascinante ma catastrofico. Non esistono barriere tra di noi: è come se non avessimo, ma parlo soprattutto di me, neanche un centimetro di pelle a separarci, e continuiamo a sbatterci addosso e sbucciarci.
(..) Pericolosa questa vicinanza con Ted tutto il giorno. Non ho una vita separata dalla sua, rischio di diventare un semplice accessorio. (…) Quante coppie sopporterebbero di stare così appiccicate?Disonestà – una crepa. E io tutta stupidità e franchezza: quanto siamo scemi ad amare davvero. Senza imbrogliare. Senza doppi giochi. E’ terribile volere andarsene e non volere andare da nessuna parte.
Ho passato tutta la vita a farmi “scaricare” emotivamente dalle persone che amavo di più. (..) Preoccupata che il mio amore non venga accettato, che vada sprecato (..) Così riempio gli incidenti più banali, come può essere il ritardo di qualcuno che amo, di un contenuto emotivo freddo, che sta a indicare come io non sia importante. Una volta capito questo non mi sono arrabbiata e neanche turbata perché lei era in ritardo.
Disperata, appassionata: perché la vita di gruppo mi risulta impossibile? Forse mi manca? Sarà perché non sono in grado di tenerle testa, ritrosa, scervellata, presa a inquinare i miei sogni con romanzi grandiosi e poesie stupefacenti.
Comunque non usciamo, non vediamo nessuno (..) Niente con cui misurarmi, una comunità di cui far parte. Ted rifiuta tutte le chiese. E allora perché non vado da sola? Ne trovo una e ci vado da sola. Gli altri sono una salvezza. Dipende da me.
Ho di continuo la sensazione che questo tempo sia preziosissimo e la sensazione opposta di essere paralizzata, di non usarlo o di sprecarlo alla cieca.
La mia peggiore abitudine è la paura, la razionalizzazione distruttiva. All’improvviso la mia vita, che aveva sempre fissato con chiarezza obiettivi immediati e a lungo termine (..) non ne ha più, o così pare.
Sono così impaziente. Ma è fondamentale accumulare belle cose. Se, SE, riuscissi a irrompere in una prosa sensata, che esprimesse le mie emozioni, sarei libera.
Evito di fare le cose, perché così nessuno mi può dire che non sono riuscita a farle. (..) Il fallimento mi spaventa a morte, blocca ogni tentativo di scrivere per non costringermi a prendermela con la mia scrittura se va male.
E’ come se la mia vita fosse misteriosamente percorsa da due correnti elettriche: gioiosa positiva e disperata negativa – e quella che passa al momento mi domina, mi inonda.
Ieri mattina ho pianto, come se ci fosse un’ora dedicata al lamento funebre: perché piangere è così piacevole? Dopo mi sento pulita, totalmente purificata.
Oggi una passeggiata dopo colazione, prima di scrivere. Il colore puro degli alberi: caverne di giallo, piume rosse. Ho inalato a fondo l’aria ferma, gelata. Una purificazione, un battesimo. Alle volte mi sembra possibile avvicinarmi al mondo, amarlo.
Una domenica limpida, divina, fresca; nessuna scadenza per la prossima settimana e un magnifico senso di spazio, capacità e virtù creativa.