La giusta distanza prosegue idealmente i temi lanciati dal libro di De Vries Effetto Porcospino. In un mondo sempre più complesso e turbolento, in cui il contenuto del lavoro è immateriale e in continuo mutamento, è necessario sviluppare competenze nuove: saper stare in connessione forte con gli altri e nello stesso tempo mantenere una giusta distanza per non farsi travolgere e, se necessario, allontanarsi, come fanno i porcospini della metafora di Schopenhauer.
Il libro di Anja Puntari parla di giusta distanza in vari accezioni: dagli altri membri del mio team, dalle mail dell’ufficio che entrano dentro casa, dai diversi ruoli che interpretiamo, e anche dai modelli mentali che ci hanno condotto sino a qui.
De Vries usa la tecnica dello storytelling, iniziando ogni capitolo con un racconto o una storiella, Anja Puntari, in quanto artista, ha deciso di utilizzare delle metafore artistiche. Il concetto forte di un capitolo viene presentato per analogia raccontando di un’opera d’arte, un quadro, un’installazione, un film.
E’ interessante il punto di vista di Anja perché osserva le dinamiche aziendali con un occhio esterno alla cultura italiana (Anja è finlandese) ed è capace di connessioni da multi-potenziale (Anja è un artista e business coach).
Pur parlando di temi noti (il significato del lavoro, la persona e il suo ruolo, le differenze di genere nelle situazioni lavorative, il malessere al lavoro e alcune emozioni sfidanti come la vergogna e il senso di solitudine) il suo sguardo è originale e le connessioni che coglie sono diverse, proprio perché partono da un altro punto di osservazione.
Tutto il libro è interessante, in particolare sui temi dello sviluppo dei leadership team mi sono segnata questi passaggi:
La conoscenza del proprio sé (…) costituisce uno dei pilastri fondamentali della nostra abilità di agire bene nel lavoro. (..) Si tratta senz’altro di un’area che è possibile sviluppare, a patto che vi si dedichi tempo e attenzione. (…) Chi sono io, che tipo di persona sono, che modelli comportamentali adotto più frequentemente, cosa mi fa stare bene, cosa mi fa andare in disequilibrio o mi provoca stress, (..) i propri valori, cosa ci muove e i propri obiettivi rilevanti.
Una buona auto-conoscenza semplicemente migliora la qualità della vita. E’ molto più probabile che si riesca ad essere soddisfatti di se stessi se ci si conosce e si sa cosa si vuole. Conoscersi bene permette di prendere decisioni più consapevoli, a volte anche difficili, di tenere il punto su questioni che si ritengono importanti, (…)
Lo stile di leadership inclusiva richiedo lo sforzo faticosissimo di accettare che il modo di fare altrui è diverso dal proprio. (..) Raramente le persone sono consapevoli del fatto che si tratta soprattutto di una fatica emotiva, che poco ha a che fare con la dimensione razionale.
Leadership inclusiva vuol quindi dire, prima di tutto, gestire il proprio vissuto emotivo per cogliere l’altro, il diverso da sé, in maniera costruttiva. Questa fatica consente però di affrontare sfide sempre più complesse, che richiedono il contributo di competenze e saperi diversi.
Una volta ho chiesto a un coachee, un uomo intorno ai 50 anni che si trovava di fronte a una scelta complicata: “Tu cosa vuoi?” Mi è rimasta impressa la sua risposta. Mi ha guardato totalmente perso mentre diceva: “Sai non me lo ha mai chiesto nessuno, forse neanche io …Ho sempre fatto ciò che volevano gli altri, i miei genitori, i miei capi, mia moglie…”
Si parla tanto di work-life balance, ma sarebbe ugualmente opportuno parlare di un equilibrio corretto tra la dimensione intima, lo spazio dedicato solo a se stessi, e quello dedicato alla connessione con ciò che sta intorno e che merita attenzione. (..) L’equilibrio tra me stesso e il mondo.
Trovare quella dimensione di calma e di contatto con noi stessi, dove si può sentire la propria voce interiore (…) oggi è sempre più complicato e sempre più spesso colgo questa difficoltà anche nei miei coachee. Fermarli è difficilissimo, perché hanno corso per così tanto tempo che non sanno stare fermi.
La solitudine è importante perché è lo spazio dove ciascuno può interrogarsi su come si sente e su che cosa vuole in quel preciso momento. Anche se è una cosa apparentemente semplice, non lo si fa molto spesso, addirittura quasi mai.
Stare soli ci rende liberi di essere realmente ciò che siamo, per poi tornare dagli altri e ritrovarci insieme a loro in maniera più solida.