Grazie al libro di William Bridges Managing Transition, mi sono accorta che c’è un filo rosso che lega le mie esperienze professionali: il cambiamento delle aziende.
La necessità del cambiamento mi è divenuta chiara con l’esperienza in Kodak nel 2004, a cavallo della fase del suo declino: il mancato cambiamento è stata la causa della “morte” di un’azienda con un heritage più che centenario, un brand fortissimo ed una posizione di netta dominanza sul mercato.
Poi nel 2008 l’esperienza come imprenditrice di FattoreMamma, esempio di successo di strategia Oceano Blu. In questo caso, più che di cambiamento, si è trattato della creazione di qualcosa di completamente nuovo e diverso dagli altri competitor: questa esperienza mi ha fatto capire che è molto più facile costruire qualcosa ex-novo che cambiare un’azienda esistente.
Ed infine dal 2014, nell’ultimo tratto della mia vita professionale da consulente, ho assistito e partecipato alla fatica improba che le aziende fanno nel cambiare, talvolta raggiungendo la meta lungo sentieri contorti, talvolta senza riuscirci del tutto.
Managing Transition ha dato risposte a molte delle mie domande sul filo rosso del cambiamento aziendale, riuscendo a farmi vedere il quadro d’insieme. Dopo l’esperienza sul campo, è stato illuminante: come quando guardi da vicino le parti di un grande dipinto, ne apprezzi molti dettagli e sfumature ma ti rimane la sensazione di non averne compreso il significato, e poi fai due passi indietro e riesci a mettere a fuoco l’insieme e ne scopri finalmente il senso!
Il libro di Bridges mi ha introdotto a comprendere le forti implicazioni del lato umano del cambiamento delle aziende -TRANSITION MANAGEMENT, su cui non mi ero mai soffermata con sufficiente attenzione, dando invece più rilevanza al CHANGE MANAGEMENT, che riguarda i processi e le cose da fare per portare a termine il cambiamento.
Ci sono una serie di modelli particolarmente utili nell’ambito del Transition Management:
Il Modello della Transizione a 3 fasi di William Bridges descritto nel libro è uno di questi. Si articola in queste 3 fasi: 1 – ENDING. 2. NEUTRAL ZONE 3. NEW BEGINNING. Vediamole.
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Ogni inizio è una conseguenza. Ogni inizio è la fine di qualcosa. PAUL VALERY (poeta francese)
Come per un lutto, il processo della Transizione parte sempre da qualcosa che si perde, e questo accade sia quando il cambiamento è subito, sia quando è stato deciso dalle persone.
Per il leader visionario o per le persone dell’organizzazione che sono più propense al cambiamento, questa fase potrebbe sembrare incomprensibile. Eppure il leader deve imparare a comprendere il percorso del lutto se vorrà portare a compimento la trasformazione.
Bridges dà una serie di indicazioni, ecco quelle che mi hanno fatto vedere aspetti non considerati:
– in generale alle persone NON piace perdere qualcosa, lasciare andare una situazione
– il senso della perdita è del tutto soggettivo e può provocare reazioni emotive che possono sembrare smisurate o ingiustificate per chi ha già superato questa fase (rabbia, ansia, tristezza, paura, depressione), ma è compito di chi guida il cambiamento legittimare tutte queste emozioni ed ascoltarle
– il passato va onorato
– ove possibile le perdite vanno compensate con altro in modo diretto e dichiarato
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Non si scoprono nuove terre, senza perdere di vista la costa per molto tempo. ANDRE GIDE (romanziere francese)
Questa fase viene definita anche Blind perché è la fase della confusione, quando si ha cominciato a lasciare il vecchio ma non si riesce ancora a vedere il nuovo e si è come ciechi. Sembra una fase inutile, ormai l’”interruttore” del cambiamento è scattato, chi come me tende a “volere tutto subito” vorrebbe saltarla a piè pari, ma invece anche questa fase va attraversata. E’ necessaria affinché punti di vista, valori, attitudini, modi di pensare si orientino verso il nuovo.
Ecco le indicazioni operative di Bridges per il Transition Management:
– questa è la fase più creativa del cambiamento perché qui in qualche modo “vale tutto”, nel senso che non sono ancora riconfigurate nuove procedure e schemi e quindi è necessario incentivare e supportare le sperimentazioni, offrire training e strumenti per innovare
– qui deve essere chiaro a tutti che l’errore è accettato, se non premiato
– visto che si è ciechi si tende ad andare un po’ ciascuno nella sua direzione e l’ansia di molti rende pesante il clima in ufficio: vanno inventate occasioni per far sentire che si è una squadra
– qui serve fissare piccoli obiettivi per avere piccoli successi: “Quick successes assure believers, convince doubters, confond critics”
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L’unica gioia al mondo è cominciare. CESARE PAVESE Aforisma da il Mestiere di vivere
Solo a questo punto, superate le due fasi precedenti, si inizia a giocare il nuovo. Bridges offre un modello a 4 P per descrivere gli ingredienti necessari per guidare questa fase:
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Per concludere, due mie riflessioni a mente fredda, a valle della lettura del libro:
1. Il fattore tempo è chiave: se alcuni mercati richiedono un turnaround profondo delle aziende in tempi rapidi, riusciranno nella sfida solo le organizzazioni che riescono a condurre il Change e la Transition in tempi stretti, le altre – ahimè – soccomberanno
2. Abbiamo visto che il percorso della transizione è del tutto personale: c’è chi lo percorrerà rapidamente, chi più lentamente, chi non riuscirà proprio a portarlo a termine. Le persone che – attraverso e nonostante i piani di Change e di Transition management – non saranno in grado di cambiare dovranno lasciare l’azienda e l’outplacement sarà uno strumento fondamentale di supporto.
E’ tutto, chi è curioso di capirne di più, a questo punto deve leggersi Managing Transition. Ah! Per i più pigri, esiste anche un video-bigino del libro, ben fatto, creato da un ragazzo di Singapore.
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Sottotitolo:
Making the most of change
Autore:
WILLIAM BRIDGES, americano, sino a 41 anni professore di letteratura, è divenuto poi studioso e consulente di fama internazionale nel campo della gestione del cambiamento delle organizzazioni.
Cosa mi ha insegnato questo libro:
1. Ho imparato la differenza fra Change Management e Transition Management e che il secondo processo riguarda le persone in azienda ed è più complesso del primo.
2. I vostri collaboratori (o anche i vostri partner, se siete imprenditori) possono ritenere razionalmente necessario il Change, ma se non abbracciano la Transition, nulla accadrà, i cambiamenti resteranno sulla carta e i risultati che si otterranno saranno limitati.
3 It’s a terrible thing to look over your shoulder when you are trying to lead and find no one there FRANKLIN DELANO ROOSEVELT