Sorprendente questo libro, ha dato risposte a molte delle mie domande aperte sulla relazione con i miei clienti come consulente HR ….aldilà della parte razionale della relazione, moltissimo si gioca a livello non conscio e sta a me cogliere le dinamiche che si creano nella nostra relazione, non al cliente.
Ne consiglio la lettura sia a chi come me fa il consulente, sia a uomini e donne d’azienda – curiosi – che vogliano essere più consapevoli delle dinamiche relazionali, con i consulenti esterni o con i propri collaboratori.
Due aree di contenuto sono particolarmente interessanti: la prima riguarda le diverse modalità di approccio alla consulenza e la seconda riguarda il tema del “lavoro di faccia o d’immagine” e del feedback attivo.
La terza modalità è la più efficace secondo l’autore, perché “la soluzione dei problemi sarà più duratura e i problemi stessi saranno risolti in maniera più efficace se l’organizzazione imparerà a occuparsene da sola”. “I primi due metodi risolvono il problema, mentre il terzo vuole incrementare la capacità di imparare del cliente, per fare in modo che questo possa in futuro risolvere da solo i propri problemi.”
Di seguito alcuni dei principi su cui si basa il terzo modello della consulenza con l’approccio coaching o “consulenza di processo”.
“Cliente e consulente devono lavorare insieme, condividendo la responsabilità dei giudizi ricavati dalla diagnosi e delle azioni progettate. Il consulente non deve sostituirsi al cliente, ma riconoscere che il problema appartiene alla fine dei conti a quest’ultimo e solo a lui.”
“Il cliente deve imparare a vedere da solo il problema nel corso della sua partecipazione al processo diagnostico ed essere attivamente impegnato nella generazione di una soluzione. E’ compito del consulente creare una relazione in cui il cliente abbia la possibilità di ricevere aiuto, ma problema e soluzione appartengono al cliente.”
“Tra le più importanti fonti d’informazione (per una diagnosi congiunta del problema) sono l’interazione tra cliente e consulente e i sentimenti che questa innesca in ambedue.”
“Il fornitore d’aiuto ha certamente bisogno di conoscere le attese implicite del cliente, ma purtroppo alcune di queste possono essere inconsce, e non rivelarsi se non nel momento in cui sono state disattese (…) Il sentimento di vulnerabilità, conscio o inconscio, del cliente lo rende spesso non disponibile a rivelare le ragioni più profonde, tutti i più complicati aspetti di quello che realmente lo preoccupa fino al momento in cui si sente certo che il dispensatore d’aiuto sarà disposto ad accettarlo, sostenerlo e soprattutto ascoltarlo.”
Vediamo innanzitutto in cosa consiste il “lavoro di faccia o d’immagine”.
Se io dico: “Vi voglio raccontare un fatto divertente che mi è capitato l’altro giorno” voi vi disporrete a prestare attenzione e divertirvi appena avete capito dal tono della mia voce, dalla mia inflessione e dalle mie stesse parole che a quel punto è attesa la vostra attenzione. (..) Se la mia pretesa di sapervi divertire si rivelerà infondata, se vi sarete annoiati o seccati, vi troverete coinvolti in un processo che Goffman ha chiamato “lavoro di faccia”.
Il “lavoro di faccia o d’immagine” è qualche cosa che entrambi dobbiamo fare se le pretese avanzate non si dimostrano fondate nel breve periodo (…) Le regole culturali vi impongono di prestare comunque attenzione alla mia storia anche se noiosa, di sorridere e ridere anche se in realtà non la trovate divertente. (…)
Se accade che qualcuno pretenda più di quello che gli spetta in base al suo status o alle sue capacità (questo accade quando una persona si da delle arie o è presuntuoso) nion lo smascheriamo, non distruggiamo le sue illusioni (…) Se poi qualcuno insiste in pretese chiaramente sproporzionate al suo status, come nel caso del collega che cerca di impartire ordini come se fosse il capo, o di chi insiste a raccontare barzellette per nulla divertenti, tendiamo ad evitarlo e a non voler più avere nulla a che fare con lui. In genere non gli diciamo in faccia di andare al diavolo.. Noi cerchiamo sempre di concedere agli altri quello che pretendono per evitare a noi stessi e alle persone con le quali interagiamo di “perdere la faccia”.
E’ l’intrinseca ambiguità della comunicazione a permettere al lavoro d’immagine di riuscire efficace, dato che possiamo leggere nella comunicazione quello di cui abbiamo bisogno per sostenere il nostro io. Se, come ci insegna la fiaba dei vestiti nuovi dell’imperatore, la nostra comunicazione fosse precisa e aperta, noi riveleremmo reciprocamente in ogni momento la nostra nudità, e la vita sociale diventerebbe impossibile.
Ed ora vediamo in che senso il “lavoro di faccia o d’immagine” è legato al “feedback attivo”.
Il feedback attivo corrisponde a una particolare forma di alterazione di quello che potremmo considerare il livello o profondità di comunicazione interpersonale e costituisce una temporanea sospensione della regola sociale del lavoro di faccia.
Un buon lavoro di faccia reciproco ci chiede di occultare gran parte delle nostre reazioni interpersonali immediate per poter sostenere l’immagine che vogliamo esibire agli altri. Il feedback attivo corrisponde ad una violazione di regole culturali fortemente radicate.
Supponiamo che la nostra intenzione sia quella di apprendere, di acquisire maggiore coerenza, di ampliare il nostro io aperto (secondo la definizione della finestra di Johari). Il normale processo di comunicazione, governato da regole culturali di cortesia e tatto, non è in grado di offrire un feedback chiaro abbastanza da rendere possibile questo apprendimento. (..) Dobbiamo sapere se stiamo inviando segnali in grado di ostacolare il raggiungimento delle nostre mete. (..) Un individuo non può ottenere un feedback preciso sulla propria parte inconscia senza che un altro sia disposto a rivelargli ciò che egli tiene di solito celato.
Due o più persone intenzionate a scambiarsi feedback attivo, dovranno trovare il modo di trascurare momentaneamente le regole culturali del lavoro di faccia per rendere possibile e sicura la rivelazione di cose ordinariamente tenute nascoste. Questa rivelazione o confessione reciproca è un processo non privo di rischi.
Seguono i 7 principi che Schein per gestire il feedback attivo in azienda: