Tutta la questione del lavoro si può inquadrare nella tensione tra due poli: da un lato il lavoro come fatica, dolore, tortura da evitare e possibilmente da infliggere. E, dall’altro, il lavoro come forza e capacità di trasformare se stessi e il mondo.
Questo libro racconta il lavoro a chi ancora non ce l’ha e si sta preparando per trovarne uno. E’ un’appassionata riflessione sull’importanza del lavoro nella vita di una persona, come strumento per garantirsi la sopravvivenza e, soprattutto, come momento in cui scoprire chi vogliamo essere. E’ un invito ai ragazzi a guardare con fiducia e senza paura nella sfera di cristallo del futuro.
Si legge così sul retro di copertina de “Il lavoro che sarai” di Vincenzo Perrone e questa sintesi tocca le due caratteristiche chiave del libro.
La prima è il linguaggio semplice usato per spiegare alcuni temi fondamentali del mondo del lavoro: il valore strumentale e quello intrinseco del lavoro, le diverse forme del lavoro (manuale o intellettuale, dipendente o autonomo), le caratteristiche del “lavoro buono” che vanno conosciute prima e poi riconosciute sul campo, le regole di economicità di un’impresa e le difficoltà del fare l’imprenditore, le modalità di organizzazione di un’impresa (la struttura organizzativa, la gerarchia, la gestione del potere, il lavoro di team), i pericoli di un lavoro totalizzante.
Tutte cose che si imparano in università studiando “Organizzazione del lavoro”, oppure che si sperimentano sul campo facendo gli imprenditori o entrando come dipendenti in un’azienda. Bello, a mio avviso, vederle raccontate in modo semplice: a me avrebbe fatto molto piacere se qualcuno me le avesse spiegate così quando avevo 18 anni e mi affacciavo al mondo dell’università.
Un’altra caratteristica unica del libro è il focus sui danni che oggi può fare sulle nuove generazioni l’approccio nichilista e privo di speranza degli adulti (scuola, genitori, media), che da un lato spronano a studiare con diligenza e dall’altra ricordano che in ogni caso le future generazioni staranno peggio di quelle attuali.
Per chiarire la distorsione dell’approccio, l’autore usa due metafore: gli adulti guardano allo studio come ad un razzo che deve trasportare meccanicamente i giovani verso il futuro, mentre invece oggi sarebbe più appropriato insegnare ai ragazzi la tecnica del “volo a vela” ovvero la capacità di librarsi nel cielo sfruttando le correnti d’aria e manovrando le ali di un parapendio (o aliante o deltaplano). Fuor di metafora, imparare a volare a vela significa aver fatto proprie, prima di iniziare a lavorare, alcune cosucce importanti come queste: 1. Conosci te stesso 2. Impara 3. Gioca con le tue passioni 4. Impara a sbagliare 5. Approfondisci sempre 6. Migliora …
Il libro è rivolto ai ragazzi, dai 14 ai 24 anni direi, ma offre tantissimi spunti anche agli adulti.
Ho trovato molto interessanti innanzitutto le riflessioni sul tema del “cambiamento”, condizione necessaria a diversi livelli:
-La SCUOLA, che deve insegnare il cambiamento: “Dobbiamo sviluppare capacità di adattamento e di apprendimento, perché imparare a cambiare, adattandoci ad un mondo che cambia continuamente intorno a noi, è la cosa più importante da apprendere”.
-Le AZIENDE, che devono cambiare perché cambiano velocemente i loro mercati: “Tutto cambia velocemente per effetto del gusto dei consumatori e dell’evoluzione tecnologica…Cambia quello che serve: non più la massima efficienza al minore costo…ma la capacità di passare rapidamente da una mansione all’altra, di risolvere problemi nuovi, di sperimentare, di lavorare in collaborazione con altri”.
-Le PERSONE e il cambiamento continuo delle loro competenze e dei posti di lavoro: “Siamo entrati in un epoca nella quale tutto nell’economia cambia in fretta e le aziende non sono più in grado di garantire un impiego per tutta la vita. …Cambiare di per sé non è un male ….cambiando si è costretti ad imparare cose nuove, ci si confronta con nuove persone, si cresce professionalmente e personalmente. … Ma un conto è scegliere di cambiare, un altro è subire il cambiamento. Da questo punto di vista l’esperienza del licenziamento, così come quella del fallimento dell’azienda che avete creato come imprenditori, è la più traumatica e quella che mette maggiore ansia.”
E poi tutto il libro è una riflessione semplice e appassionata sul significato del lavoro, sulle sue trasformazioni nel tempo, sul lavoro buono e il lavoro cattivo, manuale o intellettuale, da dipendente o da startupper. Temi chiave non solo per i giovani, ma per qualsiasi adulto di 40-50 anni.
Sono sempre andata alla ricerca di un “lavoro buono” che potesse realizzare a pieno me stessa, sfidando anche molte convenzioni: che una mamma di 4 figli si trovi più a suo agio dietro ai fornelli piuttosto che al lavoro, che lanciare startup innovative senza capitali sia un progetto da pazzi, che la gabbia dorata del posto fisso in un’azienda sia il luogo più soddisfacente in cui stare. E la sfida non è ancora finita.
Interessante quindi per me riguardare le mie scelte professionali e rileggerle alla luce delle riflessioni del testo di Vincenzo Perrone. Scoprendo che il filo conduttore, la linea che unisce i puntini del mio percorso, è qualcosa di molto simile a questo:
Né la scuola, né il lavoro, né l’economia, né tantomeno il futuro sono un destino segnato al quale possiamo solo adattarci o dal quale possiamo solo fuggire. Tutto quello che ci fa stare male, che ci indigna, che si allontana dalla nostra crescita di esseri umani abbiamo la forza di piegarlo alla nostra misura e non viceversa.
Sottotitolo:
nessuno
Autore:
VINCENZO PERRONE, professore di Organizzazione Aziendale presso l’Università Bocconi, consulente e formatore, appassionato dei temi del cambiamento.
Cosa mi ha insegnato questo libro:
1. Il passaggio dal mondo della scuola a quello del lavoro è oggi pieno di difficoltà, non diamo per scontato che i ragazzi dai 14 ai 24 anni, nella scelta del loro percorso di studi (scuole superiori, università e poi specialistica), conoscano come funzionano le aziende e le differenze fra i diversi tipi di lavoro, manuale o intellettuale, da dipendente o da imprenditore.
2. Il lavoro ha dentro di sè due anime, da un lato la fatica e dall’altro l’energia che trasforma il mondo e realizza pienamente il nostro essere. Nella tensione fra questi due poli, sta la felicità dell’uomo.