Un post su un libro che si intitola Curiosi deve far sorgere curiosità in chi lo legge.
Per questo ho deciso di non raccontarvi nulla, cosi vi resterà la curiosità di leggere voi stessi il libro per scoprire quali sorprendenti rivelazioni contiene.
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….Stavo scherzando.
Cos’è la curiosità? Ci sono due definizioni nel libro di Mario Livio, ve le riporto entrambe.
La prima, più sintetica e pragmatica, è quella proposta dagli scienziati cognitivi Kidd e Hayden dell’Università di Rochester:
La curiosità è una pulsione per la ricerca di informazioni, il desiderio di sapere perché, come, chi.
La seconda, più evocativa, è invece del filosofo francese Michel Foucault:
La curiosità …evoca la “cura”, l’attenzione che si presta a quello che esiste o potrebbe esistere; un senso acuto del reale, che però non si immobilizza mai di fronte ad esso; una prontezza a giudicare strano e singolare quello che ci circonda; un certo accanimento a disfarsi di ciò che è familiare e a guardare le cose diversamente; un ardore di cogliere quello che accade e quello che passa.
Queste sono le domande a cui l’autore promette di dare una risposta:
Prima di entrare nel vivo dei contenuti del libro, faccio una premessa molto personale: capire di più della curiosità non è stato per me un puro esercizio intellettuale: proprio a partire dal libro, ho capito che la curiosità è un tratto fondamentale della mia personalità, unendo alcuni puntini di me e della mia storia.
Sono curiosa e la curiosità ha mosso molti dei miei comportamenti e delle mie scelte di vita e professionali.
La curiosità è la molla che rende le relazioni con le persone così di valore per me, portandomi ad apprendere da ogni incontro che faccio.
Nel mio lavoro da Executive Coach, la curiosità è il motore che mi spinge ad ascoltare attivamente per comprendere cosa pensano, che tipo di emozioni hanno e come agiscono i manager con cui mi interfaccio.
La curiosità è contenuta in uno dei tag della mia società Innovation Colors #INFINITE LEARNERS – siamo curiosi e ossessionati per un apprendimento continuo. Penso che la curiosità sia la caratteristica chiave degli innovatori: chi non è curioso non riuscirà a fare innovazione.
Ho sempre avuto chiaro di volerne sapere di più su alcuni temi, legati e non legati al mio lavoro, e su questi ho comprato libri, intervistato persone, studiato e approfondito. Ne cito solo alcuni, in ordine del tutto sparso: l’innovazione e il cambiamento, i colori, i libri, le emozioni, i brand, i fari, i grattacieli, le differenze fra donne e uomini, l’impatto della tecnologia sull’uomo, il futuro.
Spinta anche dalla curiosità, nelle mie scelte professionali sono uscita dalla mia area di confort, trasformandomi da manager ad imprenditore e passando dalla mia area di competenza primaria (il marketing) ad una nuova area di competenza (le risorse umane).
La mia frase preferita è tratta da Le cronache di Narnia, e dice: “Tieni gli occhi aperti, il segreto verrà fuori da sé” e il mio stato su Whatapp è “The cure for boredom is curiosity. There is no cure for curiosity” citazione attribuita a Dorothy Parker, giornalista e poetessa americana.
Curiosementi è il titolo del gruppo di innovatori che io e la mia amica Augusta Leante abbiamo inventato e prima o poi lanceremo (non è ancora chiaro tutto il piano, ma abbiamo già concordato che il primo ritrovo del gruppo sarà organizzato in un faro!).
Dopo questa lunga premessa sui fatti miei, ritorniamo alle rivelazioni del libro Curiosi.
Lo psicologo canadese Daniel Berlyne ha mappato la curiosità suddividendola lungo due assi principali: epistemica vs percettiva – specifica vs diversiva.
Curiosità epistemica = consiste nel vero e proprio desiderio di conoscenza, motore di tutte le più importanti ricerche scientifiche, filosofiche, spirituali
Curiosità percettiva = quella generata da cose molto diverse da solito, da stimoli nuovi, ambigui o enigmatici
Curiosità specifica = riflette il desiderio di una particolare specifica informazione, come quando cerchiamo di risolvere un cruciverba o di ricordare il nome di un attore di un film
Curiosità diversiva = può riferirsi all’irrequieto desiderio di esplorare, spesso per scacciare la noia
Studi attraverso tecniche di neuro-imaging (dei neuro-scienziati Min Jeong Kang e Marieke Jepma) dimostrano che la curiosità epistemica/specifica è positiva e ha in sé la sua gratificazione.
Mentre la curiosità percettiva/diversiva, che ci spinge a continuare a guardare messaggi su twitter, a scorrere i titoli di un tabloid o a controllare se ci è arrivato un nuovo messaggio whatapp, genera nelle persone un senso di mancanza e deprivazione non positive.
Interessante questa considerazione: mi ha portato a riflettere sul fatto che la mia curiosità naturale deve essere “incanalata” per essere positiva, per me e per gli altri, e che la curiosità diversiva mi distrae, mi fa male.
Un altro passaggio del libro che mi ha molto colpito è quello relativo alla posizione del curioso di fronte all’immensità del sapere.
La persona veramente curiosa, è sempre consapevole dell’immensità della conoscenza e del fatto che per quanto profonda sia la sua conoscenza su un tema, c’è sempre qualcosa che ancora non conosce e che merita di essere approfondito. I veri curiosi cioè sanno di non sapere. Chi invece pensa di sapere già tutto di qualche disciplina o materia non sarà curioso.
La persona veramente curiosa è consapevole dei suoi limiti, ma questo non gli toglie il gusto di conoscere e andare sempre un poco più in là.
Isaac Newton, poco prima della sua morte disse:
“Non so come io appaia al mondo, ma per quel che mi riguarda mi sembra di essere stato solo come un fanciullo sulla spiaggia che si diverte nel trovare qua e là una pietra più liscia, mentre il grande oceano della verità giace del tutto inesplorato davanti a me”.
Einstein, un’altra persona famosa per la sua curiosità, parlò di “questo immenso mondo, che esiste indipendentemente da noi esseri umani e che ci sta di fronte come un grande eterno enigma, accessibile solo in parte alla nostra osservazione e al nostro pensiero”
La curiosità è un tratto innato della personalità e le differenze personali nella curiosità possono essere enormi. Queste differenze sono state studiate dalla psicologia nel contesto di un tratto generale indicato come apertura all’esperienza (OPENESS) che viene considerato come uno dei Big Five (secondo questo modello, le 5 dimensioni della personalità umana in inglese formano l’acronimo OCEAN: Openness, coscientiousness, extroversion, agreeableness, neuroticism).
Ma la curiosità può essere favorita dall’educazione di genitori e di una scuola che ci insegnano il piacere dell’osservazione e della meraviglia, che fanno domande, che ci spingono a cogliere il quadro più ampio intorno a noi.
E in ogni caso – a prescindere da personalità innata ed educazione – la curiosità può essere allenata:
Studi di alcuni neuroscienziati (Marieke Jepma, Matthias Gruber, Tommy Blachard) hanno dimostrato che chi è messo in una condizione di curiosità non solo – come detto sopra – imparerà l’approccio della curiosità, ma apprenderà contenuti con più facilità e li memorizzerà più a lungo.
E queste scoperte sono alla base della teoria della Formazione Esperienziale e dello storytelling applicato alla formazione e all’educazione.
Ci sono molti altri passaggi interessanti nel testo di Mario Livio – mi vengono in mente la storia dell’evoluzione del cervello umano, le definizioni delle devianze della curiosità come la curiosità morbosa, i concetti che non conoscevo di “evidenza confusa” e di “capacità negativa”, la curiosità applicata alla letteratura – ma non c’è il tempo per raccontare tutto.
Vi lascio alla lettura del libro concludendo con un aneddoto della vita di Richard Feynman, fisico dalla curiosità straordinaria a cui Mario Livio dedica uno dei primi capitoli.
Feynman non era affascinato solo dalla scienza. Dopo aver avuto una serie di discussioni sulle differenze tra l’arte e la scienza con un suo amico, l’artista Jirayr Jerry Zorthian, Feynman decise che, a domeniche alterne, lui avrebbe dato lezioni di fisica a Zorthian e quest’ultimo gli avrebbe in cambio insegnato a disegnare. Raccontando com’erano giunti a quest’accordo, Zorthian scrisse che Feynman era arrivato da lui una mattina presto e gli aveva detto: “Jerry, mi è venuta un’idea. Tu non sai niente di fisica e io non so niente di arte, ma entrambi ammiriamo Leonardo da Vinci. Che ne dici quindi, se una domenica io ti do una lezione di fisica e la domenica dopo tu ne dai una me di arte, così che diventiamo entrambi come Leonardo?”
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Sottotitolo:
L’arte di fare domande giuste nella scienza e nella vita
Autore:
MARIO LIVIO, astrofisico e consulente scientifico della Baltimore Symphony Orchestra
Cosa mi ha insegnato questo libro: