Ho finito in pochi giorni questo libro, iniziato rubando spazi di tempo al lavoro (trovandomi a ridere da sola come una mezza matta negli spostamenti in metro) e finito di leggere il primo giorno delle vacanze.
Nick Hornby è l’autore, è molto noto e ha scritto una ventina di romanzi, ma non avevo mai letto nulla di suo e prima della fine di questo libro non mi ero soffermata sul suo nome …mi ero anche “immaginata” che fosse una donna …per come scrive, perché la protagonista Katie è una donna.
Appena letta l’ultima pagina sono andata alla ricerca di un video per agganciare un volto e una storia all’autore e mi sono imbattuta in questa intervista multipla.
Oltre alla scoperta che Nick Hornby è un uomo, dalle sue parole alla fine dell’intervista penso di aver capito cosa mi attrae nel suo modo di scrivere:
“One thing I feel determinated to do is to offer some kind of grounded optimism. I think it’s actually a moral duty of writers. You can’t keep telling kids that everything is hopeless”
La speranza è il tema chiave di questo romanzo, insieme ad altri temi abilmente raccontati attraverso le storie di cambiamento dei due protagonisti, Katie Carr, medico del servizio sanitario inglese e suo marito David Grant, giornalista.
Un tradimento, la storia inizia così.
L’ odio e il disgusto verso un marito diventato triste e arrabbiato.
E poi il cambiamento inaspettato, quasi miracoloso, di David, che porta con sé tutta una serie di sorprese e ribaltamenti e un percorso di consapevolezza di Katie.
Cosa vuol dire essere buoni? Dopo questo romanzo ho le idee non tanto chiare …ma è penso che sia questo il bello di questo romanzo: non da risposte ma apre molte domande, sarebbe un libro perfetto per un percorso di libro-terapia umanistica.
Ecco la posta per me.
SENZA AMORE NON SONO NIENTE
“Without love I am nothing” canta per la dodicesima, diciassettesima, venticinquesima volta Lauryn Hill sul lettore CD di Janet, e ogni volta penso che è proprio così, quella sono io, sono diventata così: niente. (…) quella parte di me che dovrebbe provare emozioni è malata, o moribonda, o già morta, e prima di stasera non me ne ero accorta.
Non so bene quando è successo, ma so che è stato tanto tempo fa (…) temo che qualcosa dentro di me si sia bloccata o inaridita o sclerotizzata. (…) Oh, non parlo dell’amore romantico, del folle desiderio per qualcuno che si conosce poco. (..) Parlo di quell’amore che ti ispira ottimismo, disponibilità…. Dov’è sparito quello? E’ come se a un certo punto mi fossi ritrovata senza più carburante. Alla fine mi sono trovata delusa dal lavoro, dal matrimonio e da me stessa, e sono diventata una che non sa più in cosa sperare.
ANNI A FERIRE E FARTI FERIRE
Non ti imbarchi in discussioni come queste quando le cose vanno bene. Non è difficile immaginare che in altre relazioni, messe meglio, una telefonata che cominciasse così non dovrebbe e non potrebbe portare a parlare di divorzio. (…) Le telefonate come la nostra si svolgono soltanto quando hai passato parecchi anni a ferire e farti ferire, fino a che ogni parola pronunciata o sentita viene tradotta e caricata, complicata e riempita di sottintesi, come in una commedia disperata e brillante.
QUEL SILENZIO
Per un po’ non abbiamo detto niente. (..) e improvvisamente, e con un senso di nausea, mi sono resa conto di conoscere fin troppo bene quel silenzio, la sua forma e la sensazione che mi dava, tutti i suoi angolini appuntiti. (E naturalmente non si tratta affatto di un vero silenzio. Senti il parlottare della tua rabbia, pieno di imprecazioni, il sangue che ti pulsa nelle orecchie…)
IL BISOGNO DI PENSARE
(…) ho maturato la profonda consapevolezza del bisogno di pensare, come se la vita senza pensiero fosse diventata insostenibile. (…) Cosi ho dovuto farlo. Certo, è egoista, cattivo da parte mia, ma evidentemente in quel momento non avevo idea di come poter diventare buona senza essere cattiva. (…) Me ne sono andata.
MEDICO O SPACCIATORE?
Voi penserete che la mia scelta professionale (Katie è un medico del servizio sanitario nazionale) sia di per sé sufficiente per togliermi ogni preoccupazione a questo riguardo; penserete che anche un cattivo medico alla prese con una giornataccia possa sentirsi meglio di un bravo spacciatore di droga alle prese con una giornata tranquilla, ma io ho il sospetto che questo non sia vero. Ho il sospetto che per gli spacciatori ci siano giornate in cui tutto va liscio. È tutto una telefonata telefonata telefonata e man mano che si eseguono i lavori li spuntano sulla lista, e quando se ne ornano a casa provano un senso di soddisfazione (…)
LA TRISTEZZA
Il terreno in cui si annida la tristezza è un nascondiglio perfetto, ma poi la tristezza viene fuori.
COME UN COLTELLO
Quando ci si trova in uno stato di confusione come il mio, il matrimonio è come un coltello nella pancia, e si sa di essere nei pasticci, qualunque cosa si decida. (…) tutto sta nel decidere se estrarre il coltello e morire dissanguati o tenerlo lì dov’è nella speranza che, con l’aiuto della fortuna, il coltello stia bloccando l’emorragia.
UNA VITA BELLA E RICCA
Vanessa Bell (la sorella di Virginia Wolf) ha vissuto una vita bella e ricca. (…) Da quando sono tornata a casa, ho la continua sensazione di aver perso qualcosa (…) E capisco che cos’è solo dopo la terza o quarta volta che ho chiuso la porta della camera da letto per isolarmi da mio marito e dai bambini e scoprire precisamente in che senso la vita di Vanessa Bell era migliore della mia. E’ l’atto di leggere in sé che mi manca, la possibilità di ritirarmi sempre più dal mondo fino a che non ho trovato un po’ di spazio (…) E non è nemmeno solo l’atto di leggere, ma anche quello di ascoltare, sentire qualcosa di diverso dai programmi televisivi dei miei figli, dal petulare ispirato di mio marito, dalle chiacchiere chiacchiere chiacchiere che ho nella testa.