Lo sa bene chi ama leggere, i libri si prendono cura di noi, ci accompagnano in un viaggio dentro noi stessi, prendendoci per mano. Da qualche anno anche io ho scoperto la magia del leggere. Ci avevo riflettuto su, scrivendo di libri che ci trasformano, di libri che ci fanno apprendere, e di libri come coltelli e come incontri.
Regine Detambel ripercorre alcune delle mie riflessioni e ne spalanca molte altre, portando moltissima “posta per me”.
Un libro è dunque questo: un cerimoniale magico di guarigione. D’altronde, qualcosa che determina in noi un cambiamento profondo, in uno shock quasi fisico, un brivido di eccitazione che dilata la vostra sensibilità a un punto tale che vi mettete a osservare gli oggetti familiari come se li vedeste per la prima volta, non può che essere magico.
Il fatto è che loro vedono la cultura libresca come qualcosa di esterno all’uomo, qualcosa di cui si potrebbe fare a meno, di cui sarebbe doveroso fare a meno, in certe occasioni. (…) ma le parole medicano: se grazie ad esse si elabora il pensiero, esse si prendono anche cura delle nostre ferite.
Ciascuno di noi ha un libro segreto. E’ un libro amato. Non bello. Non grande. Non scritto benissimo. Chi se ne frega? Per noi è la bontà in persona. L’amico assoluto. Promette e mantiene ciò che promette. Noi lo dimentichiamo ma lui non ci dimentica mai. Sa tutto di noi ma non sa di saperlo.
Due lettori per uno stesso testo producono un “leggere a crepapelle” che permette di far giostrare le idee e le parole, di rimetterle in gioco le une con le altre, di rimobilitarle. In altre parole di svincolarle da un senso esclusivo, che restringe e incatena la totalità dei loro possibili significati.
Un tempo mi costringevo a leggere sino alla fine, così come si costringe un bambino a finire ciò che ha nel piatto. (..) Un giorno Borges scrisse: “Sono un lettore edonista”. Allora mi sono concessa il diritto di non finire quello che c’era nel piatto, il diritto di criticare il sapore del piatto.
Quando la mia vita è troppo dura, non riesco nemmeno più a leggere. Non metto più insieme le parole, mi affloscio. La frase non mi interessa. E’ un sintomo. (…) La lettura non è soltanto richiesta di evasione e di oblio, essa reclama, esige la sana presenza del lettore.
La letteratura offre dunque in primo luogo una “educazione dei sensi”, definisce una nuova attenzione alla vita umana ordinaria con la percezione dei suoi particolari, delle sue sfumature, delle tue sottigliezze e delle sue differenze. Essa renderebbe in tal modo più sensibili al significato e all’importanza di certi momenti della nostra vita di cui non avremmo coscienza. (..) La lettura si rivela come un’autentica esperienza di vita, intellettuale e sensibile a un tempo.
Un libro, uno solo, può a volte cambiare le carte in tavola, trasformare il modo di vedere, schiudere orizzonti, mobilitare energie sconosciute, cambiare la direzione di un’esistenza.
I testi letterari sono delle madri, così come si dice “la madre dell’aceto”. Roba che fermenta, dunque. Un frammento agisce come un lievito, facendo addensare qualcosa che era semplice liquido. La letteratura è questo fermento, è ciò che porta la vita fermentante nell’universo di ciascuno.
Dalla nascita alla vecchiaia, siamo in cerca di echi di ciò che abbiamo vissuto in modo oscuro, confuso e che a volte si rivela, si esplicita in modo luminoso e si trasforma grazie a una storia, un frammento, una semplice frase…
Certe letture rianimano. (..) il libro permette di scendere al fondo di sé, di restaurare il proprio intimo, di rilanciare in noi il desiderio.
Il fatto è che i veri libri rivelano a ognuno una facoltà eccezionale, che a quanto pare è di solito nascosta: erano addormentati e adesso – bisogna arrendersi all’evidenza – il morto si desta all’improvviso. L’esaltazione è assoluta. (…) L’amore, l’ammirazione, la collera, l’umorismo, il rispetto, la sincerità, la curiosità, perfino e soprattutto il gioco, tornano finalmente a richiamare l’intimo.